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Da tempo c’era l’età dell’oro. Le cifre parlavano chiaro: fra il 1925 e il 1929, le industrie americane erano aumentate da 183.900 a 206.700. L’indice della produzione era passato, dal 1921 al giugno del 1929, da 67 a 126. La sola Detroit nell’anno precedente il crack aveva sfornato quasi 5,4 milioni di automobili. Erano nate le prime industrie di elettrodomestici, che con lavatrici, frigoriferi, radio ecc. avevano portato la produttività industriale nel corso del decennio al 43%, ma con i salari che erano saliti solo del 20%. Quindi la differenza fra la crescita della produttività e i salari, andava a impinguare i profitti delle aziende di ogni settore e ovviamente a far salire in una forma anomala le proprie azioni in Borsa. La febbre frenetica di questi titoli poi sfuggì ad ogni controllo. La crescita convulsa, la politica del denaro facile, la febbre del profitto, contagiò un po’ tutti, e l’aggiottaggio dei titoli dei re-agenti della Borsa per farli salire (operando solo con il margin, cioè bastava anticipare il 10%) diventò quasi uno sport per loro. Ma lo squilibrio fra la produzione e il consumo, oltre l’insufficienza di mezzi di pagamento (il margin) non poteva durare all’infinito. Prima o dopo qualcuno doveva pur tappare i buchi, che normalmente chiudeva da una parte aprendone altri da un’altra parte, sempre più numerosi, a catena.Il valore reale delle aziende non corrispondeva più al valore dei “pezzi di carta” che giravano in Borsa, fra l’altro comprati allo scoperto. Di reale c’era solo una cosa, un colossale castello di carta.
La grande azienda capitalizzata 1000 in realtà possedeva materialmente 100, magari produceva, ma aveva già da tempo i magazzini pieni di merce invenduta; ma almeno questa pur esisteva, aveva muri, macchinari, merci; mentre alcune indagando si scopriva che avevano un basso in periferia, con dentro una macchina da scrivere, un po’ di carte sul tavolo e sull’insegna c’era scritto XY Company - Export Import con mezzo mondo. Tanti specchietti per allodole.
“…il mondo imprenditoriale americano aveva accolto negli anni venti un gran numero di procacciatori di affari, truffatori, impostori e venditori di fumo; e a tali deficienze degli uomini si aggiungeva la fragilità delle holding; bastava che gli utili di un’azienda diminuissero che subito crollava l’intero edificio (quello che poi accadde). Altro sintomo, una non buona ripartizione del reddito, concentrato in un piccolo numero di persone: un terzo dell’intero reddito andava soltanto a un 5% della popolazione, e tale concentrazione faceva sì che l’economia dipendesse dalle loro decisioni” (Galbraith, Il grande crollo) (e come vedremo proprio questo accadde il 29 ottobre).
Questa anomala situazione era iniziata nel secondo semestre del 1924. L’indice era a 134, a fine anno era salito a 181. A fine 1927 salì a 245. Nel 1928 con questi risultati iniziò la vera e propria orgia speculativa “una fuga di massa nella fantasia” la chiamò Galbraith. Ci fu un altro incredibile balzo e a fine agosto del 1929 l’indice toccò i 449 punti. Cioè il raddoppio in poco più di un anno, mentre i consumi diminuivano per gli stipendi troppo bassi, cosicché alcune industrie avevano un surplus di produzione, i magazzini pieni di invenduto. Questo in generale, eppure alcune grandi aziende nello stesso periodo di un anno, fecero dei clamorosi exploit. Il titolo Radio (che non aveva mai pagato un dividendo) passò da 85 a 420 dollari, il 500%. I magazzini Ward da 117 a 440. Il New York Times aumentò di 86 punti.24 Ottobre - IL GIOVEDI NERO
Prima dell’apertura, ora molti sapevano, la notizia si era diffusa per tutta New York. Al mattino davanti alla Borsa si era radunata un gran rumorosa folla. Vera o falsa qualcuno sparse la voce che nella notte si erano già suicidati undici noti speculatori. Inizia il panico, la ressa, il timore di restare con un pugno di mosche in mano, inizia la psicosi della rovina.INIZIA IL CAOS “A metà mattinata c’era già il caos, dopo aver segnato un punto del non ritorno, si tocca il punto di collasso. Nell’aula della Borsa gli agenti cadevano in deliquio; altri uscivano dal palazzo urlando come presi da pazzia, mentre fuori, in Wall Street, la folla dei piccoli speculatori faceva ressa piangendo e gridando ad ogni notizia che segnava il polverizzarsi di patrimoni.
Il panico dei finanzieri era diventato isterismo e cupe tragedie spirituali seguivano alle tragedie materiali” (Ib.CorSera)
Il vocio di migliaia di persone davanti alla borsa era ormai diventato un chiasso assordante. Ma ad un tratto scese un silenzio tombale dall’alto, infatti, tutti si misero a guardare in su. Dal tetto di un palazzo di fronte di dieci piani, si sporgeva un uomo; un altro suicidio? un’altra tragedia? un altro agente rovinato? Attimi di gelo nelle vene. Ma era semplicemente un carpentiere che dal tetto dove lavorava si era affacciato per curiosità nel sentire sotto tutto quel baccano. La psicosi del dramma aveva fatto il resto.